La caduta della sterlina non salverà l’economia britannica

Opinion piece (Il sole 24 Ore)
28 October 2016

This article is a translation of an insight originally published in English by the CER, which can be read here.

La sterlina ha perso circa il 15 per cento su base ponderata da quando la Gran Bretagna ha votato per uscire dall’Unione Europea. Gli avversari della Brexit sostengono che gli inglesi sono notevolmente più poveri di prima, perché la svalutazione ha deprezzato il valore delle attività britanniche. Affermano anche che l’indebolimento della sterlina spingerà in su l’inflazione, deprimendo i redditi reali. Se la moneta si svaluterà ulteriormente, potrebbe perfino costringere la Banca d’Inghilterra ad alzare i tassi di interesse per puntellare la fiducia degli investitori nell’economia britannica e stabilizzare la sterlina: questo farebbe salire il costo dell’indebitamento per famiglie e imprese e deprimerebbe l’attività economica.

I Brexiters, per converso, dipingono il crollo della sterlina sotto una luce positiva, sostenendo che favorirà le esportazioni e contribuirà a neutralizzare qualsiasi impatto negativo prodotto dall’abbandono del mercato unico. Alcuni commentatori sostengono anche che la svalutazione della moneta nazionale sposterà l’attività economica dal settore dominante dei servizi, concentrato a Londra, all’industria manifatturiera in altre regioni della Gran Bretagna: la forza di Londra e del suo settore dei servizi con appeal internazionale, è la loro tesi, aveva fatto salire la sterlina a un livello che aveva reso queste regioni poco competitive.

Per capire se una sterlina più debole potrà dare una spinta alle esportazioni britanniche, dobbiamo andare a vedere l’impatto che hanno avuto i precedenti deprezzamenti sulla domanda estera di beni e servizi del Regno Unito, e anche sulla struttura dell’export britannico. La cattiva notizia per i fautori della Brexit (e per la Gran Bretagna) è che l’attuale debolezza della valuta nazionale difficilmente potrà dare una spinta significativa alle esportazioni.

Dopo la brusca caduta della sterlina nel settembre del 1992, quando Londra uscì dagli accordi europei di cambio, la bilancia commerciale del Regno Unito effettivamente registrò un miglioramento (si veda il grafico 1): il disavanzo commerciale si dimezzò tra il 1992 e il 1993 e si dimezzò ancora tra il 1993 e il 1994, grazie alle esportazioni che crescevano più velocemente delle importazioni. Ma perfino in quel periodo (citato spesso Oltremanica come esempio di una svalutazione della moneta che aveva portato a un ribilanciamento dell’economia), l’aggiustamento nel complesso fu piuttosto contenuto: il disavanzo commerciale della Gran Bretagna era dello 0,7 per cento del Pil nel 1992 ed era sceso a zero nel 1994; le esportazioni nette (cioè le esportazioni meno le importazioni) contribuirono per appena un decimo alla crescita del Pil britannico tra il 1992 e il 1994.

 

Grafico 1. L'impatto declinante delle oscillazioni della sterlina sulla bilancia commerciale britannica

Grafico 1. L’impatto declinante delle oscillazioni della sterlina sulla bilancia commerciale britannica (tasso di cambio effettivo della sterlina vs. bilancia commerciale in miliardi di sterline, prezzi correnti)

Nel 2007 la Gran Bretagna aveva un disavanzo commerciale considerevole, pari al 2,7 per cento del Pil. La svalutazione della sterlina durante la crisi finanziaria scatenata dal crollo della Lehman Brothers nel settembre del 2008 è stata più pronunciata di quella del 1992: oltre il 25 per cento fra il terzo trimestre del 2007 e il primo trimestre del 2009, contro il 14 per cento fra il secondo trimestre del 1992 e il primo trimestre del 1993. Nonostante questo, l’impatto sulla bilancia commerciale è stato molto inferiore: nel 2008 il disavanzo commerciale del Regno Unito era perfino più alto che nel 2007 ed è migliorato solo di poco nel 2009 (35 miliardi di sterline contro i 39 miliardi del 2007). Le esportazioni nette hanno dato un contributo minimo alla crescita del Pil tra il 2007 e il 2009: nel 2010 il disavanzo era più alto che nel 2007, nonostante la persistente debolezza della moneta inglese.

Perché la reazione degli scambi commerciali al deprezzamento della sterlina dopo la crisi finanziaria è stata più contenuta rispetto alla svalutazione seguita all’abbandono degli accordi europei di cambio nel 1992? E che indicazioni possiamo trarne sulla probabile reazione alla fase attuale di debolezza della moneta britannica? Un fattore importante è la diversità del contesto esterno: nel 1993-1995 l’economia mondiale, e in particolare l’economia europea, evidenziava una crescita solida, nel 2008-2010 no. Un dato cruciale è che nel 2010 il Pil dell’Eurozona era più basso che nel 2007.

Un altro fattore che contribuisce a spiegare queste diverse reazioni dell’export nelle due precedenti fasi di debolezza della valuta sono le variazioni nella struttura delle esportazioni britanniche: nel 1992 i servizi rappresentavano poco più di un quinto dell’export, mentre nel 2007 la loro quota era arrivata al 35 per cento (si veda il grafico 2).

 

Grafico 2. L'export britannico si è spostato verso i servizi

Grafico 2. L’export britannico si è spostato verso i servizi (servizi, beni; sull’asse delle ordinate miliardi di sterline a prezzi correnti)

Tra il 1992 e il 2007, il volume delle esportazioni di beni è cresciuto solo gradualmente, mentre le esportazioni di servizi finanziari sono sestuplicate e le esportazioni di servizi non finanziari sono triplicate (si veda il grafico 3). Con l’eccezione del turismo (una sterlina svalutata rende la Gran Bretagna una destinazione più attraente), la domanda estera dei servizi finanziari e aziendali ad alto valore aggiunto della Gran Bretagna di regola non è particolarmente influenzata dal prezzo. Una riduzione del prezzo di questi servizi ha un impatto sulla domanda inferiore rispetto alla riduzione del prezzo di un prodotto finito a basso valore aggiunto come una lavatrice, o di un servizio a basso valore aggiunto come il turismo.

Grafico 3. Crescita rapida delle esportazioni di servizi e stagnazione delle esportazioni di beni. (Servizi finanziari, non finanziari, prodotti finiti, beni intermedi; sulle ordinate indice a catena dei volumi, 1990=100)

Grafico 3. Crescita rapida delle esportazioni di servizi e stagnazione delle esportazioni di beni. (Servizi finanziari, non finanziari, prodotti finiti, beni intermedi; sulle ordinate indice a catena dei volumi, 1990=100)

Un’altra spiegazione di questa diversità di reazioni è il calo della quota di valore aggiunto nazionale nelle esportazioni britanniche (si veda il il grafico 4): tra il 1992 e il 2007, con lo sviluppo del mercato unico, le imprese britanniche si sono integrate maggiormente nelle catene logistiche paneuropee. La domanda estera di beni e servizi intermedi reagisce alle variazioni di prezzo più lentamente della domanda di prodotti finiti. La ragione è che ci vuole tempo per cambiare il fornitore di un Paese con quello di un altro, e la domanda del prodotto intermedio è determinata in gran parte dalla domanda del bene o servizio finale. Per esempio, un produttore tedesco che vende in Cina spesso usa società localizzate in Gran Bretagna per i servizi finanziari e legali. Se la domanda cinese dei prodotti dell’impresa tedesca cala, cala anche la domanda di esportazioni di servizi finanziari e legali dalla Gran Bretagna. Il valore della sterlina è un fattore di minore importanza.

 

 % valore aggiunto nazionale sul totale delle esportazioni)

Grafico 4. L’ascesa delle catene del valore europee (sulle ordinate: % valore aggiunto nazionale sul totale delle esportazioni)

Che indicazioni possiamo trarre da tutto ciò riguardo all’effetto verosimile di quest’ultimo deprezzamento della sterlina sugli scambi commerciali? Non c’è dubbio che il contesto esterno attualmente è più favorevole a una crescita delle esportazioni rispetto al periodo immediatamente successivo alla crisi finanziaria: l’Eurozona cresce intorno all’1,5 per cento l’anno, meno che negli anni 90, ma molto meglio che nel 2008-2014; e anche l’economia statunitense sta crescendo al 2 per cento annuo. Questi dati, combinati con il deprezzamento della sterlina, faranno aumentare la domanda di esportazioni britanniche, specialmente per quanto riguarda viaggi e turismo.

Ma è improbabile che questa domanda salga in tempi rapidi, anche se i beni e servizi del Regno Unito sono diventati più competitivi. La crescita dei commerci globali è rallentata dopo lo scoppio della crisi finanziaria: nel 1992-2007 gli scambi erano cresciuti a un ritmo doppio rispetto al Pil, ma successivamente si sono allineati alla crescita economica mondiale. E dall’inizio del 2015 i volumi degli scambi globali si sono stabilizzati. Ci sono diverse spiegazioni per questo: il rallentamento dell’economia cinese, l’aumento delle misure protezionistiche e il rallentamento delle delocalizzazioni delle industrie verso i Paesi in via di sviluppo. Insieme, tutti questi fattori comportano che l’aumento delle esportazioni britanniche probabilmente non sarà abbastanza rapido da «salvare» l’economia britannica.

C’è di più: dal 2007 in poi il peso dei servizi nella composizione dell’export britannico si è accentuato ulteriormente: l’anno scorso i servizi rappresentavano il 41 per cento delle esportazioni, contro il 35 per cento del 2007. Questo riduce ancora di più l’impatto dei movimenti dei cambi sull’export di Oltremanica.

Infine, lo spettro della Brexit spingerà gli esportatori britannici, specialmente nel campo dei servizi, a congelare gli investimenti. L’impegno di Theresa May a mettere fine al libero movimento delle persone e all’autorità della Corte di giustizia europea sui tribunali britannici rende praticamente certa l’uscita dal mercato unico. La prospettiva di barriere più alte agli scambi commerciali, specialmente a danno delle esportazioni di servizi della Gran Bretagna, può rendere le aziende restie a investire per accrescere la capacità produttiva e soddisfare la maggiore domanda di esportazioni da parte dell’Unione Europea.

La globalizzazione e lo sviluppo del mercato unico europeo hanno portato il Regno Unito a specializzarsi nell’esportazione di servizi, che in molti casi sono inseriti nelle catene logistiche europee. Questo ha reso più efficiente l’economia britannica e fatto crescere il Pil, ma ha reso le esportazioni meno sensibili alle svalutazioni della moneta. Il calo della sterlina non produrrà il boom dell’export in cui sperano i fautori della Brexit, mentre i consumatori britannici diventeranno più poveri a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti di importazione.

John Springford is director of research and Simon Tilford is deputy director of the Centre for European Reform.