Com’è stato il primo anno dello European Peace Facility
«Alcuni Stati – spiega Megan Ferrando, ricercatrice del Centre for European Reform – hanno spinto per questo progetto, ma il fatto che i negoziati siano durati dal 2018 al 2021 mostra che c’era una grande divisione su come gestirlo. Paesi come l’Irlanda e i Paesi Bassi erano preoccupati per i potenziali impatti negativi, così hanno spinto per avere delle garanzie».
...«Se l’Epf dovesse funzionare – spiega Ferrando – potrebbe migliorare la qualità delle missioni e contribuire a risolvere le crisi. Questo darebbe un grande impulso alla reputazione dell’Unione europea nel mondo, sarebbe vista come una potenza sia civile sia militare in grado di occuparsi dei conflitti in modo indipendente».
Ma c’è sempre un rovescio della medaglia: «Se l’Epf funzionerà male, e per esempio le armi fornite cadranno in mani sbagliate, potrebbe avere un effetto devastante sulle vite umane, e quindi sulla reputazione di Bruxelles», dice Ferrando.
...«Il primo anno – conclude la ricercatrice – è stato principalmente caratterizzato da un’assistenza finanziaria su piccola scala e meno rischiosa. Adesso l’Unione potrebbe decidere di terminare questo periodo di prova e iniziare a fornire anche armi, ma probabilmente accadrà solo in circostanze molto specifiche, quando non ci sarà alcun rischio per la sicurezza o la reputazione».